Sono parole a caso, prese tra un sonno
e una veglia. Lettere in fila, soldati della notte. Il chiasso del
mio silenzio è qui tra queste porte. Ho delle pareti personali che
non fanno uscire che soffi inesperti, dentro c'è il tramonto che
accoglie il cielo stellato, il legno di una barca che scricchiola, le
cime che tremano e si tirano, un vecchio seduto coi baffi crespi.
Forse non dovrei stare qua seduta, forse non dovrei. Ho l'incessante
bisogno dell'abbraccio del porto, della città, del caos, del
brulicare, della gente che vive. Respirando tutto entra, goccia per
goccia, frammento per frammento. Forse non dovrei stare qua, non
dovrei. Ho bisogno di case, strette intorno, vite che si incrociano e
che stanno accanto. Ho il colore tra le palpebre, un giallo caldo, ma
pensieroso, quasi malinconico. Balconi, chiese, strade, ciottoli,
ghiaie. Ho un mondo quasi dipinto sulla pelle, vene che scorrono
silenziose, desideri senza volto tatuati sulle gambe. Forse non
dovrei stare qua. Ho uno zaino sulle spalle, con dentro tutto quello
da cui volevo scappare. Ho tra le mani la verità del cammino, la
vedo lì, nascosta alla vista, ma lo sappiamo tutti il motivo. Le
ginocchia tremano, non reggono tutti questi visi, colori, stupori,
tutte queste preghiere, litanie, voglie. Ho incrociato lo sguardo un
giorno di un paio di retine, ho aperto i polmoni e devo ancora
smettere di respirare. Ho legato i miei grovigli a quelli degli
altri, a quelli dei marciapiedi a quelli dei sassi. È pieno di scale
qua, tutto un gradino. Ho sceso dandoti il braccio milioni di scale.
È tutto lì, tutto altrove. Forse non dovrei stare qua, forse non
dovrei. Ho cercato, ho cercato, l'impossibile è tra le mie braccia,
mi volto è c'è una piazza, arancione tra le pareti, respiro e
credo.
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