venerdì 7 febbraio 2014

Stanze

Oggi la merda ha un buon sapore. C'è un letto sullo sfondo e nient'altro. Un buio lieve e denso. C'era una salita in montagna, la solitudine dei numeri che anche se non sono primi non importa. C'è un legame sottile fatto di piccoli fili di sorrisi e pianti. Vite intrecciate inevitabilmente, era così per forza, non c'era altra possibilità. Kebab e birre. Birre e kabab. Il kebab cade si sfalda la piadina e la carne si ammassa per terra. Se ne può chiedere un altro o piazzarsi a raccogliere i cocci. I cocci suono tuoi. 

mercoledì 5 febbraio 2014

è tutto un viaggio


Grazie al cazzo

Cercando qualcosa che non esiste ci siamo impigliati in posti sconosciuti, in reti di sguardi e progetti, in bisogni sorti da mancanze ignote. Ignari abbiamo proseguito su un terreno dissestato con pietre aguzze e tagli sul corpo. Gracili gesti che cercano attenzione. Fogli di vite sparsi e messi in disordine su scrivanie vuote e troppo spaziose.

Grazie al cazzo.

Persi per strada, se c'è, poi, una strada. Asfalto tra le arterie, cemento sulle palpebre, cicatrici sui palmi e corriamo ancora.
Senza il limite del reale, senza storie da poter raccontare. Senza.
Con un orizzonte di possibilità sbagliate.
Con un orizzonte di possibilità e basta.

martedì 4 febbraio 2014

Amen

Non saprei. In questi anni i tempi sono scomparsi. Come anime disperate che scappano dagli sguardi. Ho visto il loro volto seduta su questo scalini. Ci separava la vita e le carte che abbiamo in mano. Ci separavano i ricordi e le prodezze, la camminata e le scarpe nuove. Tanti corpi schizzano sulla superficie della terra, in questa piazza scoperta. Di notte il deserto. Solo il giallo del cielo e di questi lampioni. O forse solo dei lampioni. Grezzo il battito che è incastonato tra due o tre ossa. Avrei preferito morire lì, senza altri respiri. O forse è una scusa, stupida, per non arrancare più di tanto. Voci che scompaiono, ma rimangono incise sulla pelle. Vacui pensieri che annebbiano l'unica lucidità possibile. Gravi che cadono sopra queste teste spoglie. Alberi senza foglie. Il sedile della metro è un porto tra tutti questi giubbotti e giacche, borse da lavoro e zaini stracolmi, tra chi striscia tra la folla e il bisogno di fuggire. Che, però, rimane. Di soppiatto, silenziosamente presente. Non in un luogo o in un tempo distante, ma fuori dalla mente che picchietta in modo insistente. Questa stronza, il suo gioco è appena iniziato e vacci piano se no ti schianti. Amen.