domenica 23 dicembre 2012

Biciclette.

"Abbiamo passato anni ad inseguire un'idea, come un contorno senza sostanza. Mi dicevi che non siamo isole, ma io non ti credo."

Correvamo in città con le nostre biciclette, guardavamo il cielo senza nuvole, respiravamo l'aria carica di smog che sembrava gridasse prinicipi di libertà. Eravamo mille persone, forse cento o forse una sola. Con della musica nelle orecchie tutto sembrava perfetto, tutto era senza tempo tutto secondo il proprio desiderio. Qualche buca sulla strada faceva vibrare i telai, le catene come sonagli nel buio della città, ci facevamo riconscere con la nostra faccia pulita o sporca, ora non saprei dire. Rincorrevamo idee, l'idea che gli altri avevano di noi, l'idea che ci eravamo fatti su noi stessi, l'idea di amore, di felicità, di rabbia e di vita. Nelle vie sfrecciavamo come proiettili, poi rallentavamo a seconda dei pensieri che frullavano in testa. Seguivamo come un flusso e la nostra velocità era la rappresentazione del nostro stato d'animo. Era sempre estate, o così credevamo, era sempre ora di partire anche se poi rimanevamo alla stessa panchina, allo stesso parco, allo stesso posto ogni sera. Ripartiva verso settembre l'anno scolastico e giù a penare. L'unica distrazione era lo sberleffo o lo scherzo in compagnia, quello tra i banchi, tra gli amici di tutti i giornitra quelle luci al neon e le sedie disfatte. Però ognuno cullava il proprio pensiero solitario, tra equazioni, lettere, versioni. E poi tornava la voglia di evadere, vivere senza confini, senza fissazioni e termini di consegna. Qualcuno immaginava spiagge immacolate lontane, o neanche troppo. Case colorate a picco sul mare. Un treno qualunque, il primo treno possibile, così si scappa dal cemento e anche dalle proprie paturnie. Ma sono solo idee, la realtà lascia nude le persone senza mezzi.
Alla fine le esperienze si facevano comunque, volenti o nolenti. Si può stare fermi su una sedia per un pò di tempo, ma la vita continua a scorrerti sotto i piedi e quindi si deve reagire; prendi fiato e riparti, come sempre. Si facevano viaggi, reali, ma poi si tornava sempre al punto di partenza.
Nelle stesse vie, negli stessi edifici, negli stessi recinti. Con le stesse persone, con le stesse facce, con gli stessi orari. E si ascoltavano canzoni con il cuscino che faceva da schienale, con i sogni che si intrecciavano alle paure e così si dormiva di nuovo.
Passeggiavamo tutti sullo stesso suolo, con le stesse scarpe, ma a cosa corrisponde un passo non lo sapeva nessuno. Ognuno percorreva diverse strade con la propria mente, ognuno diverse peripezie. Ci incontravamo la sera, senza parlarci davvero, si rideva, si scherzava, si rilassava la testa, ma nessuno si confidava, si liberava. Sembravamo senza meta, senza desideri,solo libertà tra i nostri deliri. Qualche volta si riusciva ad organizzare una intensa esperienza, poi sempre lì al parco con un piccola birra.
Le vite si dividevano per poi intrecciarsi di nuovo e così via.
Tutti con le stesse biciclette, riprendevano fiato, correvano come se dovessero scappare, poi si fermavano al semaforo e tutto tornava normale. Tra le varie teste c'era chi si stava perdendo, tra amori e desideri di ebrezza, chi voleva cambiare il mondo, chi voleva semplicemente cambiare pantaloni. Le biciclette sfrecciavano e continuavano ad andare, qualcuno rimaneva indietro, qualcuno cambiava direzione.
Si guardavano in faccia senza vedersi, a volte di mezzo c'erano screzi, a volte scazzi o solo semplici sorrisi. Volevano tutti far parte del mondo, tutti stare bene in questo mondo. Volevano tutti comprarsi il mondo, volevano tutti distruggere il mondo. Ma poi si andava in bagno e si tirava lo sciacquone.
Qualcuno per scappare volava in discoteca, con la musica a palla i pensieri si dissolvono, diventano un grumo unico e se ne vanno. Altri volavano come sapevano fare, sempre con la propria bicicletta, altri fumando e a ritmo espellendo la merda. Qualcuno si immergeva sotto la doccia e qualcun'altro semplicemente passava un tocco di mascara sulle ciglia.
Era come se la realtà avesse a sua volta piccoli gruppi e noi avevamo il nostro. Quasi ermeticamente chiuso agli altri, ogni tanto qualche parola scappava e l'animo era più libero o solo più rabbioso. Ma poi la realtà qual era? nessuno capiva nulla e al posto di sforzarsi ci si abbandonava allo scorrere del calendario e tutti sono più contenti.
E poi? Si forse si voleva un poi, ma cosa eravamo se non punti alla deriva? Non si trattava di pessimismo, era solo uno stato d'animo quasi di incertezza, impalpabile e leggero. Nessuno sapeva cosa passava nelle nostre menti e chi provava a descriverlo peccava spesso di superficialità. Nessuno può raggiungere l'inerno di questi corpi, nemmeno cercando di manipolare i loro costumi o i loro usi.
C'era chi si sentiva in trappola e chi aveva trovato la propria piccola strada, c'era chi si innamorava e soffriva e c'era chi soffriva e basta. C'era chi non capiva e c'era chi rideva rideva a crepapelle e poi piangeva, ma pur sempre ridendo.

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