sabato 12 gennaio 2013
Venezia.
Siamo tra queste vie, anche se sbagliarei a chiamarle così. Calli, Martina, calli. Non siamo in noi, abbiamo troppi sapori a cui star dietro, non ci bastano gli occhi e il corpo si fa piccolo in questo universo. Entri nella storia di soppiatto, avendo paura di rompere tutto. Eppure sei lì, altre dimensioni, altre visioni. Tutto messo in piedi per garantire un grande pubblico, sempre presente. Eppure ti giri e respiri. L'acqua ti abbraccia anche col freddo. Troppo per berlo in un giorno, lo spettacolo. Sembran tutti poeti, anche quando parlano. Sono tutti più sereni se leggi il loro volto, tutti più calmi. Sembra un contorno fatto per l'uomo, ma che l'ha superato di gran lunga. Ormai è una realtà a sè, vive da sè e viaggia portandoti sul dorso. Di notte tutto si ferma. I canali sono silenziosi, ospitano solo barche stanche. La luce ocra illumina le case e non si scorge nemmeno un uomo. Come se d'un tratto tutti avessero abbandonato i loro lavori, le proprie famiglie e la città vuota si piega su sè stessa. Viaggiamo senza parlare, è lo spirito libero fatto a pareti, a campi, a rami. Siamo noi, senza parole, il buio ci inghiotte, ma è un compagno di sempre. La piazza è illuminata a giorno, altro che fiato spezzato, qua non bastiamo per comprendere tutto. Ti giri e sei sul mare e tutto riparte. Siamo senza sogni precisi, con bisogni eterni e ripetitivi, ma per un momento, ci dimentichiamo del mondo attorno e ci guardiamo.
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