giovedì 26 maggio 2016

Rincorsa

Non credo di aver mai provato sensazioni del genere. Sono come vibranti e secche schegge che cadono sul corpo senza apparente direzione. Non avrei voluto mai sapere che esistessero certe prove da superare, tenere i denti stretti così a lungo, talvolta senza respirare. Non avrei mai voluto sapere, eppure ora lo so. Non ho un nome per una schifezza del genere, solo smorfie disgustate, quelle che fanno arricciare gli occhi e creano delle rughe profonde sulla fronte. Mi chiedo anche se non sia tutto un po' troppo esagerato. Forse sono solo delle idee stupide che prendono delle forme che non sappiamo più addomesticare. O forse no. Forse esistono davvero persone che non si accorgono, che si guardano allo specchio e non vedono. Non vedono le scie dietro di sé, non ascoltano le voci di chi ha chiesto aiuto, non sentono i richiami da lontano. Semplicemente non se ne accorgono o fingono di non farlo.

Non pensavo che avrei provato tutto questo, ma in gran parte me lo sono cercata, L’ho proprio inseguito come un aquilone colorato su una spiaggia intonsa e caraibica. L’ho preso per il filo docile che segue le carezze del vento e me lo sono trascinata per le strade, le città, le pozzanghere, le sere, le giornate estive, i pomeriggi invernali. Ovunque mi sono fatta seguire e ho inseguito. Ho corso ansimante per paura di restare indietro. Ho rincorso ansimante per paura di essere abbandonata. Ho fatto, eseguito, rigurgitato e ingoiato. Ho annuito, sorriso e abbracciato. Ho ricambiato, taciuto e sperato.

Ora sono con i pezzi in mano che ho imparato a ricostruire. Ci ho messo tanto, troppo. Mai da sola. Ci ho messo tanto, troppo e non è ancora finita. Il cammino è ancora lungo. Ho raccolto i pezzi, i miei pezzi per terra. Li ho visti giacere sul marciapiede senza riconoscerne la provenienza. Inforcando gli occhiali ho capito, ma mi sono voltata.
Dopo sere occupate a rivangare passati poco credibili, sono tornata sul luogo del delitto e ho iniziato a raccogliere il pattume fatiscente e a ricostruire il tutto. Un pezzo alla volta, con infinita pazienza che nemmeno sapevo di avere. Una pazienza silenziosa, di quelle mature e severe. Una pazienza nata da un corpo che ha sempre reclamato solo fretta. Ora il tempo si è fermato, un rintocco e poi un altro. Una lacrima è scesa ed è tornata al suo punto di origine.

Mi sono fatta spezzare le gambe e me le sono spezzata da sola. Le ho pure spezzate ad altri, piagnucolando sul latte versato. Dopo tutto sto frignare sono qua, non più forte e non più debole. Solo più consapevole. Cambiare strada senza voltarsi mai, nemmeno per prendere la rincorsa (Paz).

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