La tua mente è fragile, agile.
Fragranze tragiche di queste notti magiche. Respira, evira; taglia
questa paranoia che si incastra tra gli strati di 'sta testa. Fresca
l'aria fuori, attento ai clamori, non stiamo sugli allori e allora
all'ora quanto carburi? Determinati in questa città, dritta la
direzione, me la dice tutta sto gps un po' allampanato. Nato tra le
radure. Scoppia la testa, colpa di 'ste arsure. Sicuramente
trentaquattro gradi, fuori piove, sangue nelle vene che pompa. La
cassa dietro ti frastorna, fra tornado in questa cavità del mondo.
Un nodo in gola, l'ago che attraversa la pelle appena bagnata. A
penna trascrivo questi svarioni in piena notte, troppe le botte
ricevute; sembra un ring altro che paracadute. Pacate le signore sui
viali, si sono scordate delle pene dei cari. Restano stanche, solo
affossate dai drammi dei telegiornali. Te le giri le navi, le passi
in rassegna le varie cabine? I ponti con l'acqua di mare sulle
pupille, i passi a segno su questo pontile. Poni le mani sopra la
ressa, spandi nel cielo la tua richiesta, spargi inchiostro nella
tempesta, resta attaccato alla finestra. Guardo il contorno dello
spazio attorno, torno sui dettagli, abbagli, piccoli intagli su
questa superficie. Particolari nascosti, intrecci composti, composti
i nostri sguardi, tireremo avanti, abbracciamoci perché si fa tardi.
martedì 21 ottobre 2014
giovedì 9 ottobre 2014
Come prima
Momenti di attesa indifesa sul vagone
che vaga avanti e indietro. Nel retro del mondo sepolto in questo
plasmarsi di vite. Gente legge, ascolta, parla. Parallelamente la
vita scorre per ognuno nel proprio verso. Torniamo a casa dividendo
queste molecole che si muovono solitarie. Un monolocale, una villa,
un seminterrato. Piano rialzato nel centro città, periferia acuta,
zone sconosciute. Macchine, pullman, genitori e pazienti, viaggiatori
e perdenti. Tutti nello stesso spazio a condividere momenti di
attesa. Spesa così l'esistenza si ammoscia, ma scrosta l'apatia dal
guscio. Risorge il gusto del dettaglio. Scorge il fruscio del
condizionatore rotto. Apre la porta, scende, corre. Perde il treno,
bestemmia, biascica qualche parola. Cede il posto, lo prende, si
siede. Aspetta. Sprezzante dei pericoli, la vulnerabilità se ne va
su queste scarpe conciate male. Una pubblicità indiscreta ti guarda.
Giudica l'operato della giornata. Faziosità nell'aria, rimbambiti da
volghi dispersi. Inerti, sugli scalini. Hanno uno sguardo curioso,
quasi una morbosità assillante. Sempre di spalle, sarò sempre di
spalle. Non voglio ignorarti, ma scolpire in memoria quest'immagine
fioca. Fiorirà ancora, l'interesse per il prossimo. Fossimo
stranieri e incensurati. Ma siamo solo schiavi inebriati. La passione
sgorga, sfiora le palpebre e le parole. Attorno a questo tavolo
finiremo per litigare. Grave la voce e sottile. Frange di speranza
labile seguono il ritmo febbrile. Scale mobili vacillano e portano
corpi appoggiati. Cimici sul manto stradale, cimici in macchina,
cimici in casa.
Torneremo sui nostri passi e tutto sarà
come prima. E nulla sarà come prima.
mercoledì 8 ottobre 2014
Oltre la siepe
Siamo senza sosta dei giganti nell'aria
senza meta. Metà della specie distrutta per la nostra disparità.
Diogene direbbe che siamo pazzi incalliti, cani vigili dall'essenza
inutile. Ignobile l'esistenza di chi a raffica cerca la sobrietà,
sopra la media, l'alterità oltre l'inedia. Immensa certezza che si
staglia sopra la brezza di questa città. In cattività come bestie
nel mondo, inondo con frasi senza senso questo pomeriggio eterno. Ho
sempre voluto un punto fermo nel divenire del giorno, torno
inevitabilmente all'inizio. Uno scalino dopo l'altro, correndo con
poco fiato. Mi accordo dell'esatto momento in cui mi volto. Intorno
un campo sterminato di verità sepolte, stronze queste realtà
tolgono fiato. Rinato il polso, torna a battere. Zattere in questo
mare agitato, onde si infrangono nell'ora di punta. La folla avanza,
la fila sbotta. Sono qua con una rotta distorta, aperta alle
interpretazioni e all'esitazione. Esistono flebili momenti di
intimità. Tra me e me respiro e trattengo un sorriso. Guardo con gli
occhi di chi non ha niente da dire, ascolto il parlare senza gioire.
Armeggio con pratiche di vita, vitalità infinita. Correre in questo
spazio smunto che sembra un immenso travaglio. Verrebbe da
distogliere lo sguardo, tutti appresso al proprio sbaglio e al
proprio sogno. Avrei voluto conoscervi, ma non mi interessa sporgermi
oltre questa recinzione. Sto qua e vago, verto verso strade diverse.
Sarà un piacere incontrarsi oltre la siepe.
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