martedì 21 ottobre 2014

Allitterazione

La tua mente è fragile, agile. Fragranze tragiche di queste notti magiche. Respira, evira; taglia questa paranoia che si incastra tra gli strati di 'sta testa. Fresca l'aria fuori, attento ai clamori, non stiamo sugli allori e allora all'ora quanto carburi? Determinati in questa città, dritta la direzione, me la dice tutta sto gps un po' allampanato. Nato tra le radure. Scoppia la testa, colpa di 'ste arsure. Sicuramente trentaquattro gradi, fuori piove, sangue nelle vene che pompa. La cassa dietro ti frastorna, fra tornado in questa cavità del mondo. Un nodo in gola, l'ago che attraversa la pelle appena bagnata. A penna trascrivo questi svarioni in piena notte, troppe le botte ricevute; sembra un ring altro che paracadute. Pacate le signore sui viali, si sono scordate delle pene dei cari. Restano stanche, solo affossate dai drammi dei telegiornali. Te le giri le navi, le passi in rassegna le varie cabine? I ponti con l'acqua di mare sulle pupille, i passi a segno su questo pontile. Poni le mani sopra la ressa, spandi nel cielo la tua richiesta, spargi inchiostro nella tempesta, resta attaccato alla finestra. Guardo il contorno dello spazio attorno, torno sui dettagli, abbagli, piccoli intagli su questa superficie. Particolari nascosti, intrecci composti, composti i nostri sguardi, tireremo avanti, abbracciamoci perché si fa tardi.

giovedì 9 ottobre 2014

Come prima

Momenti di attesa indifesa sul vagone che vaga avanti e indietro. Nel retro del mondo sepolto in questo plasmarsi di vite. Gente legge, ascolta, parla. Parallelamente la vita scorre per ognuno nel proprio verso. Torniamo a casa dividendo queste molecole che si muovono solitarie. Un monolocale, una villa, un seminterrato. Piano rialzato nel centro città, periferia acuta, zone sconosciute. Macchine, pullman, genitori e pazienti, viaggiatori e perdenti. Tutti nello stesso spazio a condividere momenti di attesa. Spesa così l'esistenza si ammoscia, ma scrosta l'apatia dal guscio. Risorge il gusto del dettaglio. Scorge il fruscio del condizionatore rotto. Apre la porta, scende, corre. Perde il treno, bestemmia, biascica qualche parola. Cede il posto, lo prende, si siede. Aspetta. Sprezzante dei pericoli, la vulnerabilità se ne va su queste scarpe conciate male. Una pubblicità indiscreta ti guarda. Giudica l'operato della giornata. Faziosità nell'aria, rimbambiti da volghi dispersi. Inerti, sugli scalini. Hanno uno sguardo curioso, quasi una morbosità assillante. Sempre di spalle, sarò sempre di spalle. Non voglio ignorarti, ma scolpire in memoria quest'immagine fioca. Fiorirà ancora, l'interesse per il prossimo. Fossimo stranieri e incensurati. Ma siamo solo schiavi inebriati. La passione sgorga, sfiora le palpebre e le parole. Attorno a questo tavolo finiremo per litigare. Grave la voce e sottile. Frange di speranza labile seguono il ritmo febbrile. Scale mobili vacillano e portano corpi appoggiati. Cimici sul manto stradale, cimici in macchina, cimici in casa.
Torneremo sui nostri passi e tutto sarà come prima. E nulla sarà come prima.

mercoledì 8 ottobre 2014

Oltre la siepe

Siamo senza sosta dei giganti nell'aria senza meta. Metà della specie distrutta per la nostra disparità. Diogene direbbe che siamo pazzi incalliti, cani vigili dall'essenza inutile. Ignobile l'esistenza di chi a raffica cerca la sobrietà, sopra la media, l'alterità oltre l'inedia. Immensa certezza che si staglia sopra la brezza di questa città. In cattività come bestie nel mondo, inondo con frasi senza senso questo pomeriggio eterno. Ho sempre voluto un punto fermo nel divenire del giorno, torno inevitabilmente all'inizio. Uno scalino dopo l'altro, correndo con poco fiato. Mi accordo dell'esatto momento in cui mi volto. Intorno un campo sterminato di verità sepolte, stronze queste realtà tolgono fiato. Rinato il polso, torna a battere. Zattere in questo mare agitato, onde si infrangono nell'ora di punta. La folla avanza, la fila sbotta. Sono qua con una rotta distorta, aperta alle interpretazioni e all'esitazione. Esistono flebili momenti di intimità. Tra me e me respiro e trattengo un sorriso. Guardo con gli occhi di chi non ha niente da dire, ascolto il parlare senza gioire. Armeggio con pratiche di vita, vitalità infinita. Correre in questo spazio smunto che sembra un immenso travaglio. Verrebbe da distogliere lo sguardo, tutti appresso al proprio sbaglio e al proprio sogno. Avrei voluto conoscervi, ma non mi interessa sporgermi oltre questa recinzione. Sto qua e vago, verto verso strade diverse. Sarà un piacere incontrarsi oltre la siepe.