Questa città ha dei luoghi sacri. Si
aprono sipari ad altri sconosciuti. Siamo noi i tesorieri e i
destinatari dello spettacolo. Un'immagine impressa, disegnata sulle
palpebre che resta lì, ferma. Ormai ogni spazio ha il suo nome, ogni
metro quadro il suo dolore. Ogni cielo la sua dose di sporca
felicità. Siamo qua ed è già finita o semplicemente deve ancora
iniziare. Mi sono infilata in cunicoli troppo stretti per poi poterne
uscire. Senza troppa consapevolezza ho preso un'arma e ho iniziato a
tastare il terreno. Una roulette personale che a vederla bene non ha
che un solo esito. Strategico il gioco. Ignari gli spettatori e le
comparse. Ambito il premio, distrutta la speranza. Sempre a modo per
gli altri, sola al mondo per te. Completamente ribaltato lo scorrere
del tempo, dall'inizio alla fine, si parte dalla fine per poi
costruire le storie. A tratti marce. A tratti belle. Come un cubo di
rubik uscito male. Quello di cui ancora non hai capito il meccanismo
e stai là a ribaltarlo e a distruggerti per forzare la situazione.
Grandi inconsistenze, senza un presente, senza un futuro. Solo un
passato che non esiste. Gradi di strati con cui mi ricopro, ormai non
mi scorgo e non guardo più. Avevo forse uno scopo, ma ho sbagliato a
lungo e ora vago. Altrove.
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